Cass. 10252 del 11.04.19

Gli articoli 152 e 155 del codice di rito dettano in generale la disciplina dei termini processuali e le modalità del loro computo.

Va, tuttavia, precisato che, come espressamente indicato nel succitato art. 152, per termini processuali si intendono i diversi momenti nei quali devono o possono essere compiuti gli atti che fanno rigorosamente parte del processo; da tali termini, dunque, vanno tenuti distinti i termini sostanziali, ovverosia quelli di prescrizione e decadenza disciplinati dagli articoli del codice civile.

Ora, il termine stabilito dal giudice, ai sensi dell’art. 481 c.c., in favore del chiamato all’eredità, per dichiarare la propria eventuale accettazione, anche con inventario, è un termine di decadenza finalizzato ad eliminare lo stato di incertezza sulla devoluzione dell’eredità, il cui spirare determina inesorabilmente la perdita del diritto di accettare l’eredità.

Pertanto, poiché l’art. 481 c.c. prevede un termine di decadenza e all’istituto della decadenza deve riconoscersi natura sostanziale e non processuale, si deve rilevare che detto termine, non finalizzato all’esercizio del diritto di difesa, è per sua natura estraneo all’ambito di applicazione degli artt. 152 e 155 c.p.c.

Tale principio è stato di recente sancito dalla Corte di Cassazione, la quale, con la sentenza n. 10252 del 11.4.19, ha affermato che “il termine in discorso ha natura di decadenza sostanziale, costituendo circostanza che non assume rilievo, come in tutti i casi in cui la legge assegna al giudice, su richiesta di parte, il compito di fissare un termine per esplicitare una manifestazione di volontà (ad. es., ex multis, artt. 1183, co 2, 1286 u.c., 1331 u.c., ecc.), che la fonte sia giudiziale e, in perfetta sintonia, non solo in questa sede si è affermata la natura decadenziale del termine in discorso, ma, ulteriormente si è precisato che la prescrizione del diritto di accettare l’eredità, di cui all’art. 480 c.c., rimane sospesa nei soli casi espressamente stabiliti da detta norma, non sussistendo altri fatti impeditivi del suo decorso”. 

Sulla scorta di tali considerazioni la Suprema Corte ha dunque rigettato il ricorso proposto nei confronti di una Cliente del ns. studio, nel quale si deduceva che, poiché il termine ex art. 481 c.c. fissato dal Giudice cadeva di sabato, in virtù del combinato disposto degli art. 155 co. 4 e 5 e dell’art. 16 bis del D.L. 179/12 convertito in L. 221/12 e succ. mm., tale termine doveva considerarsi automaticamente prorogato alla mezzanotte del primo giorno non festivo successivo.

Avv. Teodoro Sinopoli

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