In tema di responsabilità medica quale è il livello di diligenza richiesta al medico perchè sia esente da colpe? Come si accerta la condotta omissiva del medico?
Secondo l’ordinanza 30.01.18 n. 30999 della Cassazione, in tema di responsabilità del medico chirurgo, la diligenza nell'adempimento della prestazione professionale deve essere valutata assumendo a parametro non la condotta del buon padre di famiglia, ma quella del debitore qualificato, ai sensi dell'art. 1176, comma 2 c.c. Quest’ultimo parametro può ritenersi rispettato quando la condotta del professionista non è difforme da quella del “professionista medio”, locuzione che deve essere declinata non nel senso di “professionista mediocre”, bensì di professionista “bravo”: ovvero serio, preparato, zelante, efficiente. Affinchè sia soddisfatto detto criterio di diligenza, nel caso di paziente con sintomi aspecifici, il medico è tenuto a prenderne in considerazione tutti i possibili significati ed a segnalare le alternative ipotesi diagnostiche.
Il caso esaminato riguardava un uomo il quale, a causa di una forte cefalea e giramenti di testa, si era recato presso il pronto soccorso dell’ospedale dove era stato visitato e dimesso con l’unica ulteriore prescrizione di una visita cardiologica. Cinque giorni dopo il paziente si presentava nuovamente per gli stessi sintomi, senza però essere sottoposto ad ulteriori accertamenti diagnostici.
A distanza di una ventina di giorni dal primo accesso l’uomo veniva ricoverato d’urgenza e dalla TAC eseguita veniva scoperto un ematoma cranico causato dalla rottura di un aneurisma. Sottoposto quindi ad intervento (c.d. clippaggio di aneurisma) al cervello, volto ad eliminare le conseguenze nefaste dell’aneurisma, a causa della compressione dei tessuti cerebrali da parte dell’ematoma, decedeva.
La domanda risarcitoria proposta dai parenti nei confronti dell’ASL per non aver sottoposto da subito il paziente ad accertamenti specifici veniva respinta in primo grado e confermata dalla Corte d’Appello, la quale rilevava l’assenza di colpa degli operatori sanitari e la mancata prova su un aumento delle possibilità di sopravvivenza laddove fosse stato tempestivamente sottoposto ad un intervento chirurgico.
A seguito di ricorso per Cassazione, la sentenza veniva riformata con rinvio alla Corte d’Appello, sulla base del seguente principio di diritto: «Tiene una condotta colposa il medico che, dinnanzi a sintomi aspecifici, non prenda scrupolosamente in considerazione tutti i loro possibili significati, ma senza alcun approfondimento si limiti a far propria una sola tra le molteplici e non implausibili diagnosi».
Nello specifico, la Suprema Corte spiega quale è il termine di paragone affinché ai sensi dell’art. 1176, comma 2, il medico possa essere ritenuto esente da colpe, soffermandosi sul significato di “professionista medio” che costituisce il termine di paragone per valutare la sussistenza o meno di una condotta colposa. Per professionista medio si deve considerare un professionista bravo e non un professionista mediocre ed il medico bravo, secondo la Corte, è colui che a fronte di un paziente con sintomi aspecifici effettua più possibili diagnosi facendo effettuare tutti i possibili accertamenti al fine di verificare quella corretta.
L’ordinanza sembra affermare un ritorno alla c.d. “medicina preventiva” o “difensiva” laddove precisa che, nel caso di sintomi aspecifici, il medico deve effettuare tutti gli accertamenti diagnostici finché questi non confermino o meno l’esistenza della patologia che è causa dei disturbi lamentati dal paziente. La sentenza sembra, quindi, discostarsi dai principi che hanno ispirato le recenti riforme tra il diritto alla salute e il contenimento della spesa pubblica: se sussistono sintomi aspecifici bisogna effettuare tutti gli accertamenti necessari per accertare la causa del disturbo manifestato dal paziente. Tale condotta costituisce anche il discrimine tra medico medio e medico bravo che di fronte a sintomi che non permettono di riconoscere ictu oculi la patologia del paziente sottopone quest’ultimo a tutti gli accertamenti necessari. E, sotto diverso profilo, si allontana dall’orientamento giurisprudenziale prevalente secondo cui, invece, il termine di paragone per valutare la diligenza professionale deve essere il comportamento che il medico “normale” (e non “bravo”) avrebbe tenuto dinnanzi alla medesima situazione.
Avv. Carlo Casali
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